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Il castello di Calatamauro (Contessa Entellina), il trekking delle aree rurali

di Mario Liberto
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C’è ancora una parte della Sicilia da scoprire, che resiste al mutare dei tempi, perché tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazioni, e che oggi, vuole ritagliarsi una nicchia di mercato, pro­muovendo un turismo alternativo, in grado di creare le condizioni per uno sviluppo duratu­ro e possibile.

I monti Sicani, giogaie montuose che s’in­nalzano nel cielo dal fiume Platani al fiume Belice, scrigno di tante ricchezze paesistiche, culturali, folkloristiche, monumentali, si pro­pongono come luogo d’attrazione di un turismo specificatamente culturale o per gli amanti del trekking. Tra queste emergenze vi segna­liamo di visitare il castello di Calatamauro a pochi chilometri da Contessa Entellina. Naturalmente, occorre la massi­ma prudenza, in quanto il manie­ro, è difficoltoso raggiungerlo, per l’assenza di stradelle che por­tano in cima. Pur tuttavia, seguite il camminamento delle vacche, che di sicuro vi indicheranno la strada più semplice per arrivare alla cima, da queste parti è sempre valido il detto: trappiatini di vacchi portami ‘ncelu. (Orme di mucche portano in cielo). Provare per credere! Chi provie­ne da Palermo può arrivare sul luogo dallo scorrimento veloce Palermo – Sciacca, svincolo Contessa Entellina, oppure si consiglia di arrivare a Bisacquino e seguire il tratto viario che dal bivio di Catrini, territorio dello stesso comune, conduce a Sambuca di Sicilia. A metà per­corso sarà facile scorgere il maniero appollaiato su di un iso­lato colle posto sul lato destro dell’incrocio che porta a Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia e Santa Margherita Belice. La collina è ubicata difronte la Riserva Orientata di Monte Genuardo – S. Maria del Bosco, pertanto, la visita potrà compren­dere anche un giro all’interno dell’oasi naturale. Il castello è posizionato su di una vetta, a base triangolare, la cui sommità raggiunge i 763 m s. 1. m„ dominante da nord a sud l’in­tera Valle del Belice sino al mare Mediterraneo. Proprio questa posizione, molto presumibilmen­te, spinse i bizantini ad edificare un fortilizio in grado di trasmette­re, attraverso segnali visivi, even­tuali presenze estranee che potes­sero turbare la loro sicurezza. La rocca è praticamente inacces­sibile e ciò ne impediva una faci­le conquista da parte dei nemici. In virtù di questa ubicazione stra­tegica sicuramente la roccaforte, in passato, ha incuto timore e rispetto. L’esistenza del maniero nel periodo bizantino è dimostra­to da una cronaca araba, riportata dall’Amari. Lo storico, riprendendo una annotazione dell’Idrisi, afferma che il castello di Calatamauro negli anni 834-40 veniva conquistato dai musulma­ni insieme ad altre fortezze del Val di Mazara. (Amari 1880-81 I, pag. 193).

Il toponimo permette di supporre fosse un luogo sicuro, con fun­zioni di rifugio temporaneo (Maurici 1992 pp. 129-130). Di sicuro gli Arabi, una volta con­quistato il castello, l’avranno modificato e rafforzato e natural­mente attribuito un nuovo nome. Alcuni storici, tra i quali, Fazello e Rocco Pirri, attribuiscono la costruzione della fortezza ai musulmani, e ciò perché non erano in possesso della documen­tazione dell’Amari ritrovata sola­mente nel secolo scorso. L’Amari indica il castello con il nome di Qualat Mavrù, cioè Rocca del Moro, in seguito trasformato in Calatamauro.

Il Fazello rifacendosi a Decane, afferma che nelle vicinanze del castello era presente un sobborgo costruito dalla comunità musul­mana. Gli arabi lo tennero fino alla successiva età normanna-sveva, quando furono costretti dall’Imperatore Federico II ad abbandonare l’antico territorio sicano, essendo stati deportati nel 1225 e nel 1246 a Lucerà, in Puglia. Secondo il Maurici “il castello è stato utilizzato dalle truppe imperiali come base per la lotta contro i musulmani in rivol­ta a Entella”. Non a caso il castel­lo è incluso tra la lista dei castel­li dei castra exmpta di Federico II, infatti è da supporre che la pre­senza di una grande cisterna sia da collegare alla forte concentra­zione di militari all’interno del maniero. All’indomani dell’in­surrezione popolare del Vespro (1282) Saba Malaspina racconta che un tale Bonifazio, eletto capi­tano del popolo, con 3000 uomi­ni, dopo avere trucidato il Maestro giustiziere fido del re, rincorsero per tutto il territorio corleonese gli infidi angioini i quali trovarono rifugio in un certo castello“. Dalla disamina degli eventi e dalla posizione dei luoghi, molti storici hanno desunto che “un certo castello” possa trattarsi del castello di Calatamauro. Infatti, era all’epoca l’unica fortezza in grado di assicurare l’ine­spugnabilità. A dimostrazione di ciò dai Capitoli della Confederazione sancita tra le città di Corleone e Palermo, datata 3 aprile XV Indizione 1282, notar Benedetto Clerico di Palermo, fu concordata la priorità di distruzione del castello di Calatamauro. Pare che in quella occasione il castello fu total­mente distrutto; infatti nella descrizione di Vito Amico, si riferisce il fortilizio come “momentaneamente deserto con le fabbriche che conservano i tetti”. Nel 1745 l’avv. Giuseppe Foresta, incaricato dal gran Contestabile Fabrizio Colonna ad effettuare una stima dei beni di detta fami­glia, descrivendo l’antico maniero dice: “Visitai la montagna ov’è situato l’antico castello di Calatamauro fabbricato dai sara­ceni più di 1000 anni addietro ed ancora esi­stono alcune muraglia antiche che denotano la magnificenza e la fortezza di quelle fab­briche”. L’intera area è stata da sempre oggetto di interesse dalle popolazioni domi­natrici, sia per la ricchezza del territorio, sia per la centralità. Ai piedi del monte, in una località detta Scirotta, l’Amico riferisce d’a­vere rinvenuto “sepolcri in muratura, mone­te, lucerne e vasi di terra cotta inverniciati ed eleganti figurine, uno dei quali, a forma di un piccolo fiasco, di una vernice lucentissima a color fulvo” che furono consegnati al barone Mulè. Sotto il governo degli Aragonesi il castello ed il territorio circostante furono elevati a Baronia, a totale appan­naggio della famiglia reale. L’insegna dei baroni di Calatamauro era un’aquila in campo d’oro come discendenti dei Re di Francia e di Aragona. La baronia di Calatamauro com­prendeva un vasto territorio che si estendeva ad ovest sino a Contessa ed al feudo di Entella, a sud fino al castello di Zabut, mas­seria detta di Chiappardu (testa­mento di Nicolò Peralta 16 otto­bre 1398 voi. 2 archivio famiglia Rospigliosi) e ad est fino ai terri­tori di Chiusa e Giuliana. Gran parte del territorio di Calatamauro era coperto da un folto bosco dell’estensione di 875 salme, pari a 1529.67.87 ettari, che, nel suo punto più alto, rag­giungeva la cima di monte Genuardo (1179,37 m s.l.m). Il castello occupa l’intera superfi­cie del pianoro, di circa 1000 quadrati; presenta una forma simile ad un rombo con gli estre­mi che guadano a nord est e sud ovest.

L’ingresso del castello è posto ad est in quanto gli altri lati sono tutti scoscesi. I muri perimetrali raggiungono lo spessore di 1,10 m.; sono caratterizzati da una tec­nica costruttiva piuttosto irrego­lare, con l’impiego di pietre non lavorate di diversa grandezza cementati da una abbondante malta da cui fuoriescono fram­menti di tegola. Le fondazioni si trovano in condizioni precarie, a causa del fenomeno di erosione, ed è facile intravedere, in diversi punti, la base dei muri perimetra­li che si legano alla roccia della collina.

Una parte di edificio ancora rela­tivamente efficiente è situata nella zona nord-est ed il cui uso potrebbe essere stato quello di scuderia. La cinta interna eviden­zia, inoltre, una feritoia e una finestra ad un’altezza di 9 metri. Nel lato sud-ovest si notano i resti di una struttura molto stretta che potrebbe essere stata una torre. Non manca, come in tutti i castelli arabi, la cisterna sotterra­nea, per sottrarsi ad eventuali pericoli di lunghi assedi. La struttura, da un primo esame, pare, che si sviluppi in una dop­pia elevazione, un rocca che è stata da richiamo per tutti i dominatori che si sono suc­ceduti nell’isola.

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