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I FLORIO. Paolo e Ignazio: le origini della famiglia

di Antonietta Patti
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Una famiglia emerse nella Sicilia dell’Ottocento, con una potenza e una grazia tali da lasciare un segno indelebile nel tessuto sociale, economico e culturale dell’isola: i Florio. Tutto ebbe inizio con Paolo e Ignazio Florio, che decisero di vivere e mettere radici a Palermo. Grazie alla loro determinazione la Sicilia visse uno dei suoi periodi d’oro.

Come molti ormai sapranno, la famiglia Florio è originaria della Calabria. Dalle ricerche effettuate in archivi e registri parrocchiali, siamo venuti a conoscenza che il capostipite dei Florio che poi si trasferirono in Sicilia era un certo Tommaso Florio. Era un artigiano, forse un fabbro, che nel 1680 viveva a Melicuccà, un paesino sull’Aspromonte.

Fu il figlio di Tommaso, Domenico Florio, nato intorno al 1684, a trasferirsi nella vicina Bagnara Calabra. La famiglia di Domenico Florio andò a vivere nella contrada Li Pagliara, una contrada poverissima, dove le abitazioni erano poco più che capanne di fortuna. Domenico Florio era un forgiaro: era sia fabbro, sia maniscalco.

Domenico Florio scelse Bagnara Calabra, come molti altri calabresi, perché il paese era una zona franca. L’economia di Bagnara era basata sul commercio e l’agricoltura. Da un lato le attività di mercanti-marinai comproprietari o affittuari di feluche (piccole imbarcazioni con le quali si commerciavano i prodotti dell’entroterra calabrese). Dall’altro le rendite di piccole proprietà terriere, con terreni coltivati a vigneto, oliveto e frutteto.

Domenico Florio a Bagnara Calabra possedeva una casa “solerata” (una casa a due piani: piano terra e primo piano, realizzata con pietra, calce e legname) e piccoli appezzamenti di terreno coltivati a vigneto. Ebbe diversi figli: uno di questi si chiamava Vincenzo.

Vincenzo Florio continuò il mestiere paterno di maniscalco, in contrada Li Pagliara, ereditando anche la casa paterna. Grazie a due matrimoni arrivò a possedere tre case, che però finirono distrutte a causa di un violento terremoto, il 5 febbraio 1783.

Anche Vincenzo Florio ebbe diversi figli: Domenico (che ereditò il lavoro paterno), Francesco (padre della piccola Vittoria, che quando rimase orfana fu adottata dagli zii Paolo e Giuseppa…), Mattia moglie di Paolo Barbaro, e i due più giovani Paolo e Ignazio.

Come sopradetto, una parte dell’economia di Bagnara Calabra si fondava sul commercio messo in atto da mercanti-marinai proprietari o affittuari di feluche. I mercanti-marinai bagnaroti, spesso tra loro associati per uno o più viaggi, trasportavano olio calabrese a Livorno, Genova e Marsiglia. Lì si rifornivano di droghe, che successivamente ridistribuivano sui mercati del basso Tirreno. Soprattutto in Sicilia, dove portavano anche legname e altro olio, in cambio di tonno e pesce conservato.

Paolo Barbaro, marito di Mattia Florio, era l’erede di una famiglia di mercanti-marinai. Le sue finanze erano ben messe. Paolo Florio era inizialmente un subordinato del cognato, ma col tempo entrò in società con lui.

Paolo Florio era già socio di suo cognato quando, nel 1798, sposò Donna Giuseppa Saffiotti. La giovane donna apparteneva a una famiglia dal livello sociale più alto rispetto a quello del marito: sua madre (Donna Giovanna Coscinà) vantava parentele nobiliari, e portava in dote una casa “palazziata”, cioè signorile. Nell’aprile del 1799 nacque il loro primo e unico figlio: Vincenzo Florio.

I Florio a Palermo

Nel frattempo, Paolo Florio aveva conosciuto a Napoli il barone palermitano Giovanni Custos, e nell’estate del 1788 aveva accettato il suo invito ed era venuto a Palermo. 9 anni dopo, nel 1797, la società di Florio e Barbaro, grazie a don Emiddio Barbaro (un altro bagnaroto), rilevò la drogheria di Domenico Bottari nel Piano di San Giacomo.

Oltre al negozio, la società rilevava un magazzino e un altro locale nella vicina via dei Materassai, insieme ai crediti che la drogheria aveva sull’Ospedale Nuovo (l’attuale Palazzo Sclafani). La drogheria è la famosa aromateria dalla quale partirà la fortuna dei Florio.

I locali erano in affitto, e si trovavano nell’attuale Piazza San Giacomo, ad angolo con Via dei Materassai. Questa era, ed è, una delle piazze principali del rione (o mandamento) la Loggia o Castellammare.

Fu per occuparsi di questa nuova attività che si trasferirono a Palermo nel 1799. Paolo, insieme a suo fratello Ignazio, sua moglie Donna Giuseppa, la giovanissima nipote Vittoria e il neonato Vincenzo.

Dopo il trasferimento i rapporti fra i cognati Florio e Barbaro s’indebolirono, tant’è che nel febbraio del 1803 la società venne chiusa. A Paolo Florio rimasero l’aromateria, il magazzino e tutta la strumentazione del negozio. Di Paolo Barbaro sappiamo solo che un decennio dopo era residente a Marsala, dove lavorò il figlio Raffaele.

La famiglia Florio abitava in affitto: inizialmente in una casa al pian terreno (forse molto simile a un catojo) situata nel piano di San Giacomo, in Via dei Materassai 47, vicino l’aromateria. Fino al 1806, quando la famiglia si trasferì in un appartamento soprastante, nella stessa Via dei Materassai. L’unico immobile posseduto dalla famiglia di Paolo Florio fino a quel momento era quindi la casa palazziata di Bagnara Calabra.

Col passare del tempo gli affari migliorarono: con l’aiuto del barone Custos la nobiltà e l’alta borghesia divennero clienti dei Florio. Così, Don Paolo Florio poté prendere in affitto un secondo magazzino in una posizione molto conveniente: dentro la Dogana (l’attuale Steri o Palazzo Chiaramonte). Questo nuovo magazzino gli consentiva di depositare le merci provenienti dall’estero e dirette in altri luoghi della Sicilia senza pagare alcun dazio; per sdoganarle solo se e quando fossero servite per il commercio palermitano.

Nell’aromateria lavoravano Don Paolo Florio come titolare, il fratello Ignazio, il ragioniere Don Maurizio Reggio, un garzone e diversi facchini ingaggiati occasionalmente per lavori di carico e scarico delle merci e per la molitura del cortice.

Il 30 maggio 1807 Don Paolo morì, a soli 35 anni. Si trovava in una casa di villeggiatura, presa in affitto, in contrada Olivuzza, per curare una malattia contagiosa (forse tubercolosi). Il suo corpo venne seppellito al cimitero dei Cappuccini, per poi essere spostato, quando venne costruito, nell’imponente mausoleo dei Florio al Cimitero di Santa Maria del Gesù.

Nel testamento, Don Paolo Florio aveva nominato suo erede universale il figlio Vincenzo; ma in caso di suo decesso senza figli, i fratelli Ignazio e Domenico. Vincenzo ereditò quindi il patrimonio del padre, ma era troppo piccolo (aveva solo 8 anni), quindi l’attività commerciale dovette continuare sotto l’amministrazione di Don Ignazio Florio. Gli utili sarebbero spettati per metà allo stesso Ignazio e per metà alla vedova Donna Giuseppa e al figlio Vincenzo. I tre avevano l’obbligo di abitare tutti insieme.

Donna Giuseppa avrebbe potuto risposarsi, ma a quel punto avrebbe ricevuto una somma di denaro, mentre la metà degli utili dell’attività sarebbero andati esclusivamente al figlio Vincenzo. Donna Giuseppa non si risposò mai, neppure col cognato: un’unione che non avrebbe scandalizzato nessuno, a quei tempi.

Dopo la morte di Don Paolo Florio quindi, Don Ignazio, Donna Giuseppa e il piccolo Vincenzo abitarono insieme. Si trasferirono in un appartamento più grande, ma sempre in Via dei Materassai e ancora in affitto.

All’attività commerciale venne data la ragione sociale di “Ignazio e Vincenzo Florio”. La sede dell’attività rimaneva l’aromateria, in affitto fino al 1808, quando il locale fu preso da Don Ignazio in enfiteusi perpetua, e ristrutturato. Fu Don Ignazio quindi ad acquistare il primo immobile della famiglia Florio a Palermo.

Fino a quel momento, l’interesse della società era concentrato esclusivamente sull’aromateria. Don Ignazio Florio cominciò ad allargare gli interessi della società. Iniziò nel 1808 con la gestione di un terzo della tonnara di Vergine Maria (della quale non resta nulla). Assunse la gestione delle tonnare di San Nicola l’Arena e dell’Arenella solo nel 1927.

Nel 1816 Don Ignazio creò una piccola società con altri 2 soci, per l’estrazione dell’olio nell’opificio del principe di Mezzojuso. La I. e V. Florio avrebbe anticipato i capitali necessari e avrebbe curato la vendita del prodotto a Palermo, al prezzo più vantaggioso. Nel 1817 Don Ignazio si occupò di un altro prodotto: la carta, importata e venduta a Palermo. Nel 1818 fu la volta del sommacco, un prodotto utile per la concia delle pelli e il fissaggio dei colori, che acquistò ad Agrigento per i mercati esteri.

Da allora l’attività della Casa non riguardò più soltanto l’importazione e la distribuzione sul mercato isolano di droghe e di qualche altra merce, ma anche l’esportazione all’estero dei prodotti siciliani, che il mercato internazionale cominciò a richiedere in quantitativi sempre maggiori.

La presenza inglese in Sicilia all’inizio dell’Ottocento fece sì che i prodotti siciliani cominciarono a essere conosciuti nel mondo. E la nuova pace con la Francia, dopo la Rivoluzione e le guerre napoleoniche, riapriva il mercato francese ai prodotti siciliani.

Don Ignazio Florio era un uomo decisamente prudente: pur di evitare rischi eccessivi preferiva limitare i guadagni. Le navi che utilizzava per trasportare le sue merci erano infatti assicurate con la Prima Compagnia di Assicurazione di Palermo. Nel caso le sue imbarcazioni fossero naufragate, il carico gli sarebbe stato risarcito.

Tuttavia, Don Ignazio Florio era un mercante che accettava il rischio in talune occasioni. Nei suoi viaggi era sempre ben rifornito di denaro contante, che a quanto si dice, nascondeva nella fodera del mantello. Preferiva il contante perché gli consentiva di acquistare merci a un prezzo più basso. Si recava spesso a Malta, Livorno e Trieste, dove faceva conoscere i suoi prodotti, e si riforniva di varie spezie, come il cortice peruviano.

Giunto all’età di 52 anni, il 18 maggio 1828 Don Ignazio Florio morì. Alla sua scomparsa, le redini di quella società che sarebbe diventata un impero economico, la I. e V. Florio, passarono al 29enne Vincenzo Florio.

Bibliografia e sitografia

  • Orazio Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019;
  • Vincenzo Prestigiacomo, I Florio. Regnanti senza corona, Nuova Ipsa Editore, Palermo 2020.

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