Agrigento, quest’anno Capitale Italiana della Cultura, custodisce uno dei siti culturali di età antica più conosciuti ed archeologicamente interessanti: la cosiddetta “Valle dei Templi”. Un’area archeologica, ampia 934 ettari, iscritta nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1997. È uno dei luoghi più visitati al mondo, da viaggiatori italiani e stranieri.
Agrigento si trova sulla costa meridionale siciliana, è affacciata sul Mediterraneo. Di fatto, comprende la greca Akragas e la medievale Girgenti. Tuttavia, il sito patrimonio dell’UNESCO comprende l’area archeologica, concentrandosi quindi sull’età classica, ellenistica e romana.
Fondata nel 581 secolo a.C., la città si chiamava Akragas ed era una subcolonia siceliota, perché fondata da coloni greci provenienti da Gela. Dopo aver sconfitto i cartaginesi nella Battaglia delle Egadi nel 241 a.C., i romani cambiarono il nome alla città, chiamandola Agrigentum.
In primo luogo, la sua posizione, tra l’entroterra e la costa, è stata una delle caratteristiche principali della sua fondazione. La posizione, strategica per i commerci, ha certamente aiutato a decretare la supremazia di questa città greca. Ma la ricchezza dei suoi abitata derivava soprattutto dalle attività di estrazione, raffinazione e commercio dello zolfo.
Pindaro la descrisse come “la più bella città dei mortali”. Del resto, Agrigento ha dato i natali a numerosi personaggi storici, come Empedocle, Timoleonte, Falaride, Faraj Ben Salim, Giambattista Picone, Ernesto Drago, Ugo Sciascia e Luigi Pirandello.
L’antica Agrigento, infatti, prosperò durante il periodo delle tirannidi di Falaride e Terone. Dopo la distruzione operata dai cartaginesi nel 406 a.C., la città vivrà un nuovo periodo di prosperità con l’arrivo di Timoleonte, alla fine del IV secolo a.C.
I templi di ordine dorico, che ancora oggi possiamo ammirare perché in un eccezionale stato di conservazione, danno il nome al sito culturale, noto ai più come “Valle dei Templi”. Ma dell’antica Akragas non restano solo i templi. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce numerose tracce di una delle città più importanti del Mediterraneo occidentale.
L’antica città greca di Agrigento occupava una valle quasi pianeggiante, delimitata da due fiumi: l’Hypsas a Ovest e l’Akragas a Nord-Est. Come si può notare, Agrigento ha quale fulcro una valle circondata da colline : la collina di Girgenti a Nord, con la Rupe Atenea a Nord-Est, e la collina dei templi a Sud.
Come si è dimostrato, nella valle si sviluppava un impianto urbanistico regolare, fatto di isolati delimitati da stenopoi e plateiai. Una parte di questo impianto è stato messo in luce in Contrada San Nicola, ed è noto come il quartiere ellenistico-romano. Infatti, l’impianto urbano di età romana, coi suoi cardines e decumani, ricalca lo schema urbanistico della città greca. Inoltre, la città era circondata da imponenti mura, lunghe ben 12 km e con 9 porte.
Il principale luogo politico della città greca era l’agorà: l’antica Agrigento ne aveva 2. L’agorà inferiore occupava uno sperone della collina dei templi, fin dall’inizio. Mentre l’agorà superiore occupava l’area di Poggio San Nicola, ed era dotata di bouleuterion (dove si riuniva il consiglio, la boulè) ed ekklesiasterion (luogo di riunione dell’assemblea popolare, l’ekklesia).
Agrigento era dotata anche di una delle più famose opere ingegneristiche: i condotti feaci, il cui nome si deve al supervisore, un tale Feace. I condotti erano una serie di canali sotterranei che, dalla Rupe Atenea e dalla collina di Girgenti, portavano l’acqua corrente nella valle, e quindi in tutta l’area urbana.
Questi condotti correvano lungo il fondo e in gallerie scavate nella roccia o costruite appositamente. L’acqua giungeva fino alla Kolymbetra, nell’area sud-occidentale della città. Questa era una piscina per la raccolta delle acque che in età medievale divenne un giardino, con uno stagno ricco di pesci e uccelli.
Dall’area del cosiddetto quartiere ellenistico-romano e dalla collina dei templi provengono numerosi reperti e opere d’arte antica, come il Kouros di Agrigento, oggi esposti nel Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo. Da questi siti provengono numerose informazioni anche sulle pratiche funerarie dei primi abitanti cristiani. Negli ultimi anni sono cominciati gli scavi per riportare alla luce il teatro, nell’area dell’agorà superiore. Infine, recentemente, sono stati stati scoperti due importanti ambienti connessi al ginnasio: un apodyterion utilizzato per la formazione dei giovani greci.
L’acropoli, ovvero l’area sacra della città, occupava la collina meridionale. Alcuni degli edifici sacri di Agrigento risalgono al tempo della sua fondazione, il VI secolo a.C. Ma la maggior parte di questi sono stati creati nel V secolo a.C., quando il tiranno Terone prese il potere e diede lustro alla città.
All’estremità occidentale della collina dei templi, affacciato sul giardino della Kolymbetra, si trova il Santuario delle Divinità Ctonie. Quest’area riporta le più antiche tracce di rituali della città. Lo spazio sacro, delimitato da un recinto chiamato temenos, reca le tracce di piccoli sacelli, templi, altari e botroi (pozzi sacri) e diversi depositi votivi.
È in quest’area che si trova il Tempio dei Dioscuri, il simbolo della Valle dei Templi e dell’intero Parco Archeologico di Agrigento. Di questa struttura restano solo 4 colonne: uno degli angoli della peristasi del tempio, ovvero il colonnato che circondava la cella. La cella era il cuore del tempio: qui era contenuta la statua della divinità alla quale era dedicato l’edificio.
A Ovest del Santuario delle Divinità Ctonie, superando il giardino della Kolymbetra, su un pianoro in linea con la collina dei templi (Rupe Atenea) troviamo i resti di un tempio. Costruito nel V secolo a.C., sopra i resti di un sacello più antico, era forse dedicato a Efesto. Di questo tempio restano le fondazioni e il crepidoma con sopra due colonne scanalate.
Procedendo verso Est, troviamo i resti dell’Olympeion: il tempio di Zeus. Progettato come tributo per la vittoria sui cartaginesi nella battaglia di Himera del 480 a.C., doveva essere il più grande edificio templare greco.
Purtroppo, la sua costruzione venne interrotta nel 406 a.C., quando Agrigento venne assediata e distrutta dai cartaginesi. Un violento terremoto ne terminò la distruzione, e del tempio oggi non rimangono che poche tracce. Resti delle fondazioni del tempio e dell’altare, e di elementi architettonici come i Telamoni, la cui grandezza permette di percepire quanto doveva essere imponente il tempio.
A Est dell’Olympeion troviamo le tracce del tempio più antico di Agrigento, realizzato con la pietra locale. Di questo edificio restano 8 colonne sopra il crepidoma. Gli archeologi lo hanno identificato quale Tempio di Eracle grazie a un passo di Cicerone. Poiché il noto oratore e politico romano indicava la presenza di un tempio dedicato al dio Ercole vicino alla Porta V.
Più a Est troviamo il Tempio della Concordia, costruito nel 430 a.C. È un tempio con una peristasi esastila (6 colonne sul lato più corto e 13 su quello più lungo), il vano del pronao contiguo alla cella, e un opistodomo (vano retrostante la cella). I piloni all’ingresso nascondevano le scale d’accesso al tetto.
Non sappiamo quale o quali divinità fossero venerate dentro questo tempio. L’edificio è noto come “Tempio della Concordia” a causa di un’iscrizione, ritrovata nel 1500, che cita la concordia. In realtà, questa iscrizione non ha alcuna relazione con l’edificio, che tuttavia ormai è chiamato così da secoli.
Il Tempio della Concordia è oggi uno degli edifici templari di ambito greco meglio conservati. Il suo stato di conservazione si deve al fatto che nel 596-597 d.C. il tempio venne convertito in chiesa cristiana per volere del vescovo Gregorio. Così la cella divenne la navata centrale della chiesa, la quale, attraverso le arcate aperte nei muri, era collegata a due navate laterali, realizzate con la chiusura della peristasi. La chiesa fu chiusa al culto cristiano soltanto nel 1748.
All’estremità orientale della collina dei templi svettava infine il Tempio di Giunone. Costruito tra il 450 e il 440 a.C. con la pietra calcarenite locale, doveva essere dedicato alla dea Hera. Di questo tempio restano solo le fondazioni, il crepidoma, una parte del colonnato (30 colonne) e alcuni pezzi dell’architrave soprastante, risollevati nel XVIII secolo.
In aggiunta, fuori delle mura urbiche si trovano alcuni luoghi sacri: santuari extraurbani e periurbani. Nella piana che si estende a Sud della Collina dei Templi si trova una piccola area sacra extraurbana identificata come santuario di Asclepio, dio della medicina.
Sul Colle San Biagio invece, si trovano i resti del santuario di Demetra. La chiesa medievale dedicata a San Biagio insiste sui resti di un area sacra che comprendeva dei botroi, due altari e un piccolo e semplice tempio intitolato alla dea dell’agricoltura e protettrice dei frutti della terra. Questo santuario periurbano si rivolgeva principalmente alle campagne, simboleggiando la sovranità della città sul territorio circostante.
Infine, sulla Collina di Girgenti, si trovano i resti del tempio di Atena, costruito nel V secolo a.C. Alcune colonne della peristasi sono inglobate nella Chiesa di Santa Maria dei Greci, di età normanna e vicina alla cattedrale della moderna città di Agrigento.
Nel VII secolo d.C., gli abitanti di Akragas abbandonarono i quartieri nella valle e l’area sacra sulla collina dei templi, preferendo insediarsi sulla Collina di Girgenti. Questo ha permesso la nascita di Girgenti: il nome di Agrigento in età medievale. Con la conseguente conservazione dell’antica città greca.
Tuttavia, lo spostamento dell’abitato comportò la creazione di una necropoli nell’area dell’antica città greca, estesa tra il Tempio di Giunone e quello di Eracle. Di questa necropoli fanno parte i diversi loculi e i tanti arcosoli scavati lungo le mura urbane, centinaia di tombe a fossa e una catacomba cristiana conosciuta come Grotta Fragapane. In questo caso, le sepolture che insistono nell’area della Valle dei Templi sono di età tardoantica e medievale.
Di verso discorso per la necropoli Giambertoni, che si trova alle pendici meridionali della collina dei templi, più o meno in corrispondenza del Tempio della Concordia, e quindi fuori le mura. Di questa necropoli fa parte la cosiddetta “Tomba di Terone”, che in realtà è la sepoltura monumentale di un aristocratico agrigentino, databile al II secolo a.C. Questa necropoli infatti è un luogo di sepoltura di età ellenistica e romana. Poiché i greci e i romani non seppellivano i defunti all’interno dell’area urbana, ma soltanto fuori le mura.
Non sempre l’area archeologica di Agrigento è stata rispettata: Akragas è stata oggetto di spoliazioni. Infatti, la maggior parte degli edifici di Girgenti sono stati costruiti con materiale di riuso, prelevato dagli edifici della più antica città.
Oggi, oltre a riportare alla luce ulteriori luoghi dell’antica città, è fortissimo l’impegno nella conservazione di quanto giunto fino a noi, per garantire l’autenticità dei siti. Infatti, i più recenti interventi di restauro sono stati condotti nel pieno rispetto dei principi della conservazione e del restauro moderno. E in aggiunta, hanno risolto dei problemi causati da alcuni interventi eseguiti tra la fine del XVIII e il XIX secolo.
In maniera significativa, i resti archeologici di Agrigento sono una grande testimonianza dell’arte e della cultura greca in Sicilia. D’altronde, in qualità di una delle più grandi città del Mediterraneo greco, l’area archeologica di Agrigento mostra un importante interscambio di valori umani. Questo la pone di diritto tra i beni Patrimonio dell’Umanità.
Bibliografia e Sitografia
- Pirro Marconi, Agrigento arcaica. Il santuario delle divinità chtonie e il tempio detto di Vulcano, Società Magna Grecia, Roma 1933;
- Enzo Lippolis, Monica Livadiotti, Giorgio Rocco, Architettura greca. Storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo; Bruno Mondadori, Milano 1993;
- Antonio Di Vita, “Urbanistica della Sicilia greca”, in a cura di Giovanni Pugliese Carratelli, Greci in Occidente, Bompiani Editore, Milano 1996, pp. 263-308;
- L’Italia dell’Unesco, Giunti e Tancredi Vigliardi Paravia Editori, Firenze 2021.

(foto di A. Patti)



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