Dopo l’Unità d’Italia (1861), il fenomeno del brigantaggio si diffuse in modo particolarmente intenso nel Mezzogiorno, e fu molto più di semplice criminalità: era una vera e propria guerra civile a bassa intensità che coinvolse ex-soldati borbonici, contadini, ex-briganti e persino clero e nobiltà locale. Le cause furono molteplici, sia di natura sociale, economica che politica.
La povertà diffusa e le disuguaglianze sociali nel Sud Italia causati da una miseria estrema, alla quale l’Unità non portò miglioramenti immediati. Anzi, in molti casi la situazione peggiorò. Inoltre, le aspettative dei contadini, che speravano in una redistribuzione delle terre, furono disattese, poiché la borghesia e l’aristocrazia terriera mantennero i propri privilegi. Infine, il nuovo Stato impose tasse elevate (come la tassa sul macinato) e leggi dure che furono percepite come oppressive.
Molti ex-soldati borbonici e sostenitori del vecchio regime non accettarono il nuovo stato unitario e si ribellarono. Il nuovo Regno d’Italia impose la coscrizione (leva) obbligatoria, portando molti giovani a fuggire e unirsi alle bande brigantesche.
Alcuni Stati stranieri simpatizzavano o addirittura aiutavano i briganti, visti come “controrivoluzionari”, in particolare la Chiesa.
Dopo l’Unità d’Italia, i rapporti tra Stato e Chiesa erano tesissimi. Papa Pio IX si opponeva all’unificazione, che vedeva come una violazione del potere temporale della Chiesa, in quanto il nuovo Regno d’Italia aveva annesso lo Stato Pontificio (tranne Roma fino al 1870), ed espropriato i beni ecclesiastici, suscitando il risentimento del clero.
La Chiesa cattolica giocò un ruolo ambiguo e spesso contraddittorio durante il periodo del brigantaggio. Da un lato, alcuni membri del clero si schierarono apertamente con i briganti, vedendo in loro una resistenza contro l’imposizione del nuovo Stato unitario, che aveva preso il controllo anche dei territori precedentemente sotto il dominio del Papa. L’Unità d’Italia portò infatti alla presa di Roma nel 1870 e alla fine dello Stato Pontificio, un evento che scatenò l’ostilità della Chiesa verso il nuovo governo italiano.
In molte zone del Mezzogiorno, in particolare nelle aree rurali, il Clero era profondamente radicato nella comunità. Molti parroci locali nel Sud sostenevano (apertamente o in modo velato) i briganti, che vedevano come difensori dell’ordine tradizionale contro lo “Stato ateo” o “massonico”. Alcuni sacerdoti e vescovi diedero benedizioni, rifugio e supporto morale ai briganti, spesso in segno di protesta contro la soppressione dei privilegi ecclesiastici e contro l’occupazione del territorio da parte dell’esercito italiano. Del resto, alcuni briganti si dichiaravano “fedeli al Re e al Papa”, vedendosi come crociati antiunitari.
La Chiesa difendeva i briganti non solo per motivi politici, ma anche come una forma di resistenza popolare. Non di rado, i briganti venivano considerati dagli abitanti delle zone rurali come dei “difensori”, contro le imposizioni fiscali, le ingiustizie sociali e il crescente controllo dello Stato, un potere centrale che appariva oppressivo e lontano.
Tuttavia, la posizione della Chiesa non fu uniforme: mentre alcuni sacerdoti appoggiavano attivamente i briganti, il Papa e la Curia in generale condannarono le azioni violente. Il loro coinvolgimento rimase ambivalente, anche perché l’istituzione ecclesiastica cercava di mantenere una sua autonomia rispetto al nuovo governo.
Il governo italiano rispose con una durissima repressione militare, arrivando a definire intere aree del Sud “in stato d’assedio”. Il brigantaggio venne formalmente sconfitto intorno al 1865-70, ma lasciò ferite profonde nella storia dell’Italia unita.