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ROMA AL CINEMA. Scipione anche detto l’Africano

di Antonietta Patti
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scipione detto anche l'africano

Scipione anche detto l’Africano è un film del 1971. Prodotto da Ultra Film, Cinerama Filmgesellschaft e F.I.C., è il terzo e uno dei più famosi film di Luigi Magni. Il protagonista del film è Publio Cornelio Scipione Africano, il proprietario dell’elmo che accompagna lo scorrere dei titoli d’inizio, lo stesso che cinge la testa dell’Italia nel nostro inno nazionale.

Scipione anche detto l’Africano racconta un episodio della Roma repubblicana: lo scontro politico tra Scipione Africano e Marco Porcio Catone, il Censore. I due sono interpretati rispettivamente da Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman.

Nelle casse dell’erario di Roma mancano 500 talenti: la prima rata del tributo di guerra che il re di Siria ha pagato a Roma dopo aver perso la battaglia di Magnesia (189 a.C.). Questa vittoria aveva donato a Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano, impersonato da Ruggero Mastroianni, il soprannome di “Asiatico”.

Durante varie riunioni in Senato, Catone mette sotto torchio i due fratelli, che resistono. Fino a quando non compare la ricevuta della consegna del tributo, firmata da un certo “Scipione A”. A questo punto i due fratelli litigano, fino a quando uno sfinito e smaliziato Scipione Asiatico confessa il furto.

L’onesto Scipione Africano vorrebbe trascinare il colpevole in Senato per fargli ammettere il suo crimine, nonostante sia il fratello. Ma questo va contro gli obbiettivi del furbo affabulatore Catone, che non vuole scoprire il ladro. Il suo scopo è dimostrare ai cittadini di Roma che il grande e irreprensibile Scipione Africano, dal quale sono sempre più affascinati, è pur sempre “umano” con le sue debolezze e i suoi difetti.

Scipione Africano, che per difendersi avrebbe potuto scatenare una guerra civile, rinuncia alla sua aurea d’incorruttibilità. Dopo aver compreso di essere un “gigante” inutile in un mondo dominato da “nani”, confessa dei crimini che non ha mai commesso. Ma né i senatori né Massinissa (interpretato da Woody Strode) hanno il cuore di condannarlo, perché ha solo dimostrato di essere “omo tra gli omini”.

Il fondamento della trama di Scipione anche detto l’Africano è un fatto reale: nel 187 a.C. i due Scipioni – appartenenti alla gens Cornelia – vennero accusati di furto. Ma non sappiamo come finì il processo. Valerio Anziate, la fonte d’informazione di tutti gli storici latini, scrisse che Scipione Asiatico era stato condannato a risarcire l’erario. Ma questa fonte è da prendere con le pinze: egli era un falsificatore, ed è possibile che il processo sia stato bloccato.

Due sono i fatti storici realmente accaduti e mostrati in Scipione anche detto l’Africano. Un esasperato Scipione Africano che distrugge i libri contabili, durante una seduta in Senato. E la sua esortazione nel festeggiare l’anniversario della battaglia di Zama, avvenuta il 18 Ottobre del 202 a.C., al termine della Seconda Guerra Punica. Aver sconfitto il generale cartaginese Annibale, uno dei più grandi nemici di Roma, proprio in territorio africano, aveva valso a Publio Cornelio Scipione il soprannome di “Africano”.

“Sorti fori, Giove! E discoremo.” in questo modo, nel film, Scipione Africano esorta il padre degli dei a parlare con lui. Il rapporto tra Scipione Africano e Giove si basa su una leggenda che voleva il condottiero romano ispirato dal dio. Questa leggenda è stata riportata dall’autore latino Aulo Gellio, presente tra i senatori, interpretato da Fosco Giachetti.

Tuttavia, il Giove Capitolino di Luigi Magni, interpretato da Turi Ferro (e doppiato da Ferruccio Amendola), è un dio che piange e si lamenta. È diverso da un uomo solo perché se la “gode in sempiterno ‘sta buffonata”, dato che “la vita è bella proprio perché finisce”.

Le ultime parole che Scipione Africano pronuncia alla fine della pellicola, mentre lascia Roma, sono: “Ingrata Patria, non avrai le mie ossa”. Parole che, secondo lo storico romano Valerio Massimo, erano incise sul suo sepolcro. La sepoltura dell’Africano non si trovava nel famoso Sepolcro degli Scipioni sulla Via Appia Antica, ma a Literno, dove si era ritirato disgustato dalla vita politica romana.

Nondimeno, Scipione anche detto l’Africano è un film colmo di errori storici. Quello che forse risalta di più è Emilia, moglie di Scipione Africano interpretata da Silvana Mangano, che prepara la salsa. Quando è risaputo che il pomodoro giunse in Europa dall’America dopo il 1492.

Cornelia, figlia di Scipione Africano, è stata interpretata da una ragazzina di circa 10 anni, però all’epoca dei fatti il suo personaggio ne aveva solo 5. Il futuro Publio Cornelio Scipione Emiliano nella pellicola è un ragazzino, ma nel 187 a.C. era un neonato.

In Scipione anche detto l’Africano ci sono bendue casi di “arrivo anticipato”. Sentiamo Catone nominare il greco Polibio, l’autore della prima opera storiografica di Roma. Tuttavia, lo storico giunse nella Città Eterna nel 168 a.C., circa vent’anni dopo gli eventi mostrati nella pellicola. Il filosofo Carneade di Cirene, impersonato da Adolfo Lastretti, ospite del banchetto di Scipione Africano e cacciato da Roma perché “nun se capisce” quello che dice, giunse a Roma ancora dopo, nel 155 a.C.

E fa sempre un certo effetto ascoltare Catone difendere la barba “romana” dal rasoio “greco”, quando avvenne l’esatto opposto. I Romani accettarono di farsi crescere la barba, proprio imitando i filosofi greci, e solo nella tarda età imperiale.

Infine, è strano vedere i corrieri percorrere stradine di campagna e attraversare i boschi, invece di viaggiare sulla Via Appia. La famosa via consolare passava da Capua (attuale Santa Maria di Capua Vetere) già da 100 anni; quindi poteva essere usata per raggiungere Literno (attuale Giugliano in Campania, vicino Napoli), per portare il messaggio di Catone a Sempronio Gracco, interpretato da Ben Ekland.

Ma alla fine, nonostante le inesattezze storiche, Scipione anche detto l’Africano è certamente un bel film! Rappresenta una pietra miliare del cinema italiano, e del cinema in costume in particolare. Col suo cast eccezionale, rende omaggio a Roma e alla sua Storia.

Per Scipione anche detto l’Africano non è stata fatta alcuna ricostruzione archeologica. Del resto, la scelta di girare tutte le scene in siti archeologici, come Pompei, Paestum e Tivoli, è chiaramente indicativa. La Roma repubblicana di Luigi Magni è una città vecchia, in rovina, crepuscolare, la sua straordinaria bellezza sembra celata dall’incuria e dal degrado.

Dialoghi, battute e discorsi seri sono pronunciati in romanesco. La sceneggiatura, anch’essa a firma di Luigi Magni, rende Scipione anche detto l’Africano una straordinaria commedia storica che analizza il nostro tempo. L’ironica e dissacrante denuncia politica di Magni è evidente: purché la Repubblica viva, un uomo grande e integerrimo come Scipione Africano deve farsi piccolo. Perché in politica “il più pulito c’ha la rogna”.

“State in campana, perché i popoli che se scordano la Storia prima o poi ce sbattono il grugno!”

le parole pronunciate da Scipione Africano potrebbero essere in realtà il manifesto dell’opera cinematografica di Luigi Magni. Il regista romano ha infatti girato una serie di film ambientati a Roma, da quella antica a quella papalina. Perché solo conoscendo la Storia possiamo interpretare il presente e prepararci al futuro.

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