Durante i miei incontri didattico-divulgativi con gli alunni delle scuole, Enti e Associazioni, ma anche con semplici amici, spesso mi si chiede cosa succede nei boschi dopo il passaggio di un incendio e se per la sua ricostituzione ottimale, siano necessarie alcune condizioni preliminari d’intervento. Di conseguenza, avendone le modeste dotazioni tecniche, mi voglio soffermare qualche minuto ad analizzare la problematica.
Voglio anticipare che si tratta di una tematica tecnico-selvicolturale alquanto articolata e certamente non spiegabile compiutamente con qualche paginetta di scrittura. Ad ogni modo, fermo restando nella complessità della materia, le determinazioni procedurali d’intervento riportate in questo scritto, potrebbero anche non essere in linea con altre eventuali deliberazioni colturali di intervento, riconducibili a orientamenti o dottrine silvocolturali diversi dal presente elaborato.
Quanto evidenziato in questo scritto, si basa su letture bibliografiche di settore, esperienze professionali personali e conoscenze culturali acquisite nelle scuole del Corpo Forestale. Di conseguenza, se avete voglia di leggere sino in fondo, con questa scrittura rapida, semplice e priva di tentazioni letterarie, cercherò di rendere la tematica il più comprensibile possibile agli esperti, ma anche ai curiosi e ai non addetti ai lavori, in modo da spiegarne al meglio, l’importanza per il nostro patrimonio boschivo.
Gli incendi boschivi rappresentano una delle principali minacce per le aree boscate e la deforestazione causata dal fuoco, oltre ai danni materiali economici, può portare, tra l’altro, alla perdita dell’habitat, ai cambiamenti nei regimi idrici di drenaggio che spesso causano i dissesti idrogeologici, all’impoverimento della diversità biologica e persino alla modificazione del microclima locale.
Il clima che cambia rapidamente a causa nostra, ci porta straordinarie ondate di calore e siccità estive sempre più frequenti e prolungate, ma anche fenomeni estremi come improvvise bombe d’acqua e trombe d’aria che stanno diventando più frequenti e si abbattono in aree mai interessate a questi eventi.
Per come vanno sostenendo gli esperti, forse è vero che ci avviamo nel “Pirocene”, nome coniato dal famoso studioso del fuoco, Stephen Pyne dell’Arizona State University. L’epoca del “Pirocene” o “età del fuoco cattivo” ma soprattutto, l’epoca della “scomparsa del fuoco buono”, quello “naturale”, quello “primitivo”, quello “agricolo” che dal Pleistocene fino agli albori dell’età industriale ha modellato i paesaggi del nostro pianeta.
Il “Pirocene”è un periodo di grande impatto ambientale, caratterizzato dall’aumento della quantità di megaincendi collegati al peggiorare delle condizioni climatiche provocato dal riscaldamento globale, che certo dobbiamo affrontare con un approccio culturale diverso.
Il fuoco ha un impatto potente e negativo sugli ecosistemi ed in particolare su piante e animali selvatici. Secondo alcune stime dell’EFFIS (European Forest Fire Information System), ogni anno sono mediamente oltre 45.000 gli incendi boschivi che si verificano in Europa, interessando oltre mezzo milione di ettari tra foreste e altre terre boscate.
Gli incendi boschivi nell’Unione Europea dal 1° gennaio al 4 settembre 2025 sono stati 29.740 ed hanno interessato un totale di 988.527 ettari. L’Italia in quest’anno non ancora concluso, a causa di circa 520 incendi, ha già visto andare in fumo oltre 76.188 ettari di aree verdi, con un costo per il nostro paese di oltre un miliardo di euro fra opere di spegnimento, bonifica e ricostruzione.
I dati sopra riportati, sono da considerare ampiamente in difetto, in quanto il suddetto organismo istituito dalla Commissione Europea nel 2000, tiene conto di dati rilevati soltanto su aree percorse dal fuoco che abbiano un’estensione di almeno Ha. 30, mentre restano fuori dal censimento le superfici minori che spesso sono la stragrande maggioranza.
Nel bosco distrutto dal fuoco per causa antropica, a prima vista non è possibile verificare i danni patiti dalle piante, in quanto, alcune possono riprendere a vegetare perché non totalmente distrutte, altre conservano un valore residuo in quanto parzialmente danneggiate dal fuoco, mentre altre ancora subiscono danni irreversibili, tanto da consigliarne il totale sgombero dalle superfici interessate e il ripristino artificiale del soprassuolo, siano esse latifoglie o conifere.
Pertanto, dopo un incendio boschivo, cosa succede e cosa fare?
Le piante danneggiate che restano in piedi dopo il passaggio del fuoco devono essere lasciate nel sito o sgomberate?
Bisogna lasciare il terreno percorso dal fuoco alla propria capacità dinamica di autorganizzazione e cicatrizzazione naturale, per come da orientamento di alcune dottrine strettamente ambientalistiche, oppure deve essere “aiutato” a riprendersi con interventi antropici di succisione o forestazione artificiale?
Tralasciando i terreni non boscati, nella ricostituzione del soprassuolo boschivo percorso dagli incendi, quali sono i vantaggi e svantaggi delle diverse alternative applicate naturali o artificiali?
Le domande sono sensate, tuttavia, c’è da dire che quasi sempre ed in particolare all’interno delle Aree Protette, siano esse di proprietà pubblica o privata, il fenomeno incendio é interpretato esclusivamente ed erroneamente come un evento drammatico, ma che tuttavia, assume le caratteristiche di fatalità e inevitabilità.
In sintesi, é il momento di cambiare il solito paradigma, ovvero, incendi e solita caccia all’incendiario di turno e archiviazione del momento storico relativo all’accaduto, tralasciando di curarne l’approfondimento, inteso come motivo di intervento “Post factum”, finalizzato al ripristino del soprassuolo boschivo eventualmente andato perduto e alla riattivazione delle sue importanti funzioni classiche, ma anche a quelle nuove attribuite ai boschi negli ultimi decenni. Infatti, di recente se ne è aggiunta una nuova funzione che appesantisce ulteriormente il conto dei danni prodotti dagli incendi boschivi.
In sostanza, si tratta di una funzione oggi diventata primaria e strategica e riguarda il contenimento dei gas ad effetto serra, argomento incluso nel Protocollo di Kyoto, strumento della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, che l’Italia ha sottoscritto. Il risanamento e recupero dei terreni percorsi dal fuoco, spesso non accade, al massimo avviene solo una presa d’atto dell’evento e la totale assenza di progettazione e di ricostituzione, che possa dare almeno un segno di cambiamento a questa sorta di archetipo di immobilismo decisionale perpetuo.
Dunque, le domande avanzate sopra sono semplici, tuttavia, le risposte sono molto complesse e necessitano di una considerevole riflessione tecnica, dato che trattasi di una fattispecie molto articolata e poco conosciuta ai non addetti ai lavori.
Il valore delle piante distrutte dal fuoco e rimaste sul terreno può rappresentare un motivo di mercato, tuttavia, non è conveniente lasciarle per lungo tempo sul posto di caduta aspettando di ricavarne un probabile profitto. Sono piante irrimediabilmente debilitate o distrutte e non di rado in decomposizione, dunque, oltre allo scarso valore commerciale, sono sicuro ricettacolo di fitopatologie infestanti e potenti veicoli di trasmissione verso tutti gli individui sani che eventualmente restano in piedi.
Infatti, queste piante deperite dopo qualche anno si riempiono di larve che vanno a infettare a macchia d’olio le restanti piante del bosco, se questo non è in perfetta salute. Dunque, cosa che difficilmente avviene, è opportuno procedere nel più breve tempo possibile allo sgombero del materiale legnoso bruciato e in decomposizione per quanto appena spiegato, ma anche perché rappresenta un ingombro per la ripresa e crescita della nuova vegetazione e perché è una pericolosa riserva di combustibile secco altamente infiammabile per il periodo a venire.
Quando per vari motivi i residui non possono essere allontanati, è conveniente accumularli sul posto e bruciarli con le dovute cautele del caso. Ripristinare queste aree percorse dal fuoco può essere semplice e proficuo come consentire alle foreste di autoristabilirsi naturalmente nel tempo, oppure può richiedere un approccio più coinvolto, incluso i rimboschimenti autoctoni.
La ricostituzione del soprassuolo percorso dagli incendi, in senso stretto ha come scopo principale quello di riportare il soprassuolo boschivo ad uno stato di normalità, ovvero, nelle medesime condizioni precedenti il fattore di disturbo che nel nostro caso sono gli incendi, attraverso un insieme di oculate operazioni forestali. Il rimboschimento artificiale e/o naturale può ripristinare le aree precedentemente percorse dagli incendi e aiuta anche a proteggere dall’erosione del suolo e a ridurre l’impatto delle alluvioni, senza dimenticare che produce ossigeno e aiuta a ridurre l’effetto serra, responsabile del surriscaldamento globale.
Entrando nel merito della ricostituzione boschiva nelle aree colpite da incendi dove il soprassuolo boschivo ha subìto solo danni non irreversibili e le piante dimostrano ancora una buona attività vegetativa, dopo un’eventuale rigenerazione di arbusti e piante, siano esse conifere o latifoglie, la dinamica di ricostituzione forestale naturale avviene per mezzo della disseminazione.
Si tratta di un processo che permette la dispersione dei semi dalle stesse piante preesistenti e ancora in vita, favorita dal vento e dagli animali, che facilita l’occupazione di nuovi siti di germinazione. In questo modo, dopo il passaggio del fuoco, si lascia tutto alla generosità della “Madre Natura” che provvede nel tempo a ripristinare il soprassuolo boschivo, pertanto, si ha la rinnovazione naturale che è la forma migliore di perpetuare il bosco che riparte in un periodo di tempo relativamente breve, ma con un processo di ricostituzione naturale efficiente e a costo zero.
La rigenerazione naturale rappresenta dei grossi vantaggi perchè i boschi contengono più biodiversità a livello di piante, uccelli e invertebrati e una struttura della vegetazione più simile all’originale rispetto a quelle dei boschi rimboschiti dall’uomo. Inoltre, ripristinare naturalmente i boschi è più semplice e molto più economico, in quanto col tempo, consente alle popolazioni locali di utilizzarli secondo la loro tradizione originarie.
I boschi rigenerati naturalmente tendono anche ad assorbire carbonio in modo più sicuro, infatti, secondo un recente studio pubblicato su “Nature”, il potenziale di cattura di carbonio dei boschi ripristinati naturalmente è molto più elevato di quello dei boschi artificiali. Dal punto di vista ecologico, questo intervento naturale dà origine a boschi più resilienti al passaggio di futuri incendi e anche alla crisi climatica in atto.
Attraverso la capacità di resilienza un sistema forestale riesce ad autocorreggersi e aggiustarsi, adattarsi al cambiamento e ritornare al suo stato iniziale, dopo un danneggiamento che ha creato un evento perturbativo ed ha modificato il suo stato originale. Lo studio e le relative deliberazioni rigenerative naturali, sono altresì finalizzate a conservare bene e migliorare le piante esistenti scampate al fuoco, ove presenti, nonché al recupero del sistema pedo-vegetazionale di interesse naturalistico ambientale preesistente al passaggio del fuoco.
Secondo studi di settore, a livello globale diverse aree boscate percorse dal fuoco si stanno rigenerando naturalmente e i vantaggi sono tanti, anche se in alcuni casi non sono ottimali, in particolare in aree gravemente degradate a causa del vigoroso disordine vegetazionale arbustivo ed erbaceo. Una volta a contatto con tali condizioni di disturbo, i semi naturali si disperdono e non riescono a raggiungere il sito di germinazione, magari per penuria di avifauna che funge da vettore o seppur raggiungendolo non riescono ad attecchire.
Inoltre, la rigenerazione naturale di un bosco avviene per mezzo di un processo lungo e organico che attraverso una sorta di successione ecologica si evolverà in uno stato di maturità, che determinerà una “comunità climax da incendio” alquanto impattante alla vista.
Infine, obiettivo di questo progetto è rinaturalizzare il territorio locale in modo naturale, mitigare l’impatto delle attività umane, aumentare la resilienza del territorio rispetto agli stress ambientali ed agli eventi estremi connessi con il riscaldamento climatico.
Mentre le conifere non detengono capacità di emettere polloni, nei soprassuoli di latifoglie percorse da incendio si può anche pensare alla tradizionale pratica ricostituiva tramite la succisione delle ceppaie, che consiste nella loro rivitalizzazione, mediante il taglio al colletto o rasente terra della pianta, in modo da eliminare i fusti bruciati e riportare la ceppaie nelle condizioni ottimali per dar vita a nuovi giovani polloni.
Dove non si può contare sul vigore delle ceppaie o sulla disseminazione naturale, l’unico intervento utile è la rinnovazione artificiale con specie a rapido accrescimento e pirofite ovvero, resistenti agli incendi e da questi persino favorite a rigenerarsi e a formare in breve tempo una densa copertura nei terreni incendiati.
L’opera di rimboschimento per l’impianto artificiale di nuovi boschi, appare spesso necessaria soprattutto quando la copertura vegetale è stata distrutta totalmente dal fuoco ed in particolare se questa è composta da specie conifere. In queste condizioni non è possibile la rinnovazione naturale e si procede con il rimboschimento artificiale del bosco che si esegue per semina diretta con messa a dimora di piantine o semi che, scelte in vivai specializzati, devono rispondere a precise caratteristiche qualitative che assicurino un soprassuolo boschivo con buoni risultati.
E’ evidente che il terreno su cui si farà il rimboschimento, qualche mese prima e possibilmente nel periodo estivo, deve essere sottoposto ad una preparazione di spianamento e sistemazione che può essere a buche di dimensioni di circa 40 cm di profondità e di lati, a distanze regolari l’una dall’altra. Può essere anche un sistema a solchi da scavare con l’aratro e attrezzo manuale o a gradoni, a piazzole o con altri sistemi.
Insomma i sistemi di rimboschimento artificiale sono diversi e facilmente praticabili, tuttavia, i tempi di ricostituzione sono considerati ottimali ma articolati ed incerti, in quanto si devono porre in essere opere di rimboschimento che necessitano di tempi più lunghi.
Quando l’incendio ha distrutto solo una piccola parte delle aree percorse, si può pensare al rimboschimento artificiale delle sole aree danneggiate irreversibilmente. Nel soprassuolo di latifoglie non distrutto totalmente, si può pensare ad un rimboschimento misto naturale-artificiale. Nei processi di rinnovazione delle superfici forestali percorse da incendio, bisogna applicare sistemi validi di gestione, in modo da assicurare rapidamente il loro recupero vegetazionale.
In fase operativa di rimboschimento artificiale, la buona scelta di semi e piantine deve essere accompagnata con un diligente adattamento delle singole specie forestali da impiantare ai diversi tipi di terreno e clima, che sono i fattori principali della “Stazione” forestale, intesa come l’insieme delle condizioni ambientali dove le piante debbono vegetare.
A questo proposito, considerato che la pericolosità degli incendi é strettamente legata anche al tipo di vegetazione riconosciuta come altamente infiammabile, bisogna incoraggiare l’utilizzo di semi provenienti da zone in cui i popolamenti mostrano tratti di resistenza alla siccità e piante pirofite, le quali ceppaie possano ricacciare i nuovi virgulti-polloni, pur avendo subìto danni notevoli fino alla totale distruzione e in modo da costituire sistemi forestali meno infiammabili e più resistenti agli incendi.
La resistenza al fuoco, che è strettamente legata a caratteri ereditari di una specie e alle condizioni del suo ambiente di vita, è la capacità delle piante di essere meno infiammabili e dunque più resistenti al forte calore del fuoco. Altre manifestazioni di resistenza delle piante pirofite agli incendi o ad altri agenti deleteri, si palesano attraverso una sorta di autoregolazione biologica verso i fattori specifici ambientali che provocano una sofferenza alle piante, come ad esempio la diminuzione della superficie fogliare in caso di periodi siccitosi, oppure, anticipare o ritardare alcuni cicli biologici per contrastare gli effetti negativi dell’ambiente.
Inoltre, spesso queste specie sono in grado di sopportare il passaggio del fuoco e non muoiono, anche grazie a particolari caratteristiche strutturali, quali, ad esempio, lo spessore della corteccia come nelle querce da sughero, infatti, la spessa corteccia di queste piante è in grado di proteggerle da eventuali incendi. Inoltre, la corteccia permette di trattenere l’umidità e fa sì che la temperatura media all’interno dell’albero sia inferiore di 13 °C rispetto alla temperatura esterna.
Anche i semi di alcune piante di pini sono resistenti agli incendi in quanto sono efficacemente protetti perché racchiusi in pigne dalle squame fortemente lignificate, che spesso cadono al suolo ancora chiuse. Il fuoco non riesce generalmente a danneggiarli, ma le temperature elevate che si raggiungono causano l’apertura delle pigne favorendo la dispersione dei semi stessi che ben si adattano a condizioni di suolo scoperto e privo di copertura vegetale.
Il rimboschimento artificiale se non gestito correttamente, può avere effetti dannosi e può ridurre la biodiversità locale e favorire l’introduzione di specie non autoctone e potenzialmente invasive. Inoltre, se gli interventi sono mal progettati, possono comportare l’avviamento a una serie di monocoltura di specie non autoctone che spesso riduce il numero di tipi di habitat disponibili per la biologia dei boschi e produce popolamenti più fragili e infiammabili, poco resilienti e con alti costi di gestione.
Come abbiamo visto sopra, principalmente sono due i metodi per la ricostituzione boschiva: uno è il rimboschimento naturale, ovvero quando i boschi possono ricrescere naturalmente, a volte con un piccolo aiuto da parte dell’uomo. Il secondo metodo è la forestazione artificiale che consiste nel piantare nuove piantine.
La scelta va fatta previa la conoscenza di alcuni elementi basilari di selvicoltura e vivaistica, ma anche di ecologia forestale e botanica, allo scopo di definire l’intervento adeguato nel più breve tempo possibile, ed evitare il fallimento di ogni rimboschimento. La ricostituzione boschiva sia naturale che artificiale, è il rimedio estremo dopo il passaggio del fuoco o su terreni che hanno subito altre avversità, perché non si può rinunciare all’importanza del bosco, dunque, bisogna che nuovi soprassuoli boschivi rimpiazzino quelli distrutti e abbiano una migliore resistenza.
Pertanto, la ricostituzione va realizzata attraverso una strategia dinamica che, come sopraddetto, utilizza tecniche di ripristino diverse ma conformi nel tenere conto dei modi e dei tempi di recupero che le popolazioni forestali adottano per superare l’alterazione causata dal passaggio del fuoco e dall’adattabilità rigenerativa delle specie che andranno a ricostituire il soprassuolo boschivo. L’applicazione delle modalità corrette di gestione delle aree boscate percorse da incendio è fondamentale per assicurare il rapido e ottimale recupero vegetazionale dei soprassuoli percorsi dal fuoco.
Per ripristinare con buoni risultati un’area boscata percorsa dall’incendio, ancor più se in modo artificiale, occorre porre in essere alcune tecniche appropriate di selvicoltura ed in primis é necessario essere oculati nello studio del sito interessato, mediante la valutazione dei danni che esso ha subìto e dei suoi caratteri pedologici e vegetazionali.
Inoltre, bisogna tenere conto deirequisiti della buona tecnica forestale che prevede la corretta progettazione forestale, la realizzazione di impianti forestali naturaliformi, la scelta e l’utilizzo di specie forestali autoctone e certificate. E’ essenziale inoltre, il rispetto delle normative in materia forestale ed ambientale vigenti, ed in particolare dei vincoli territoriali e paesaggistici eventualmente presenti.
A completamento dell’opera di riforestazione, è di estrema importanza eseguire la manutenzione degli impianti forestali realizzati, fino a maturità vegetale e salvaguardarli dall’attività pastorizia, almeno per i primi anni di vita. Le buone tecniche di Selvicoltura, che tra l’altro, insegnano nelle Scuole Forestali, consistono nell’applicazione di interventi puntuali e controllati all’interno del bosco percorso dall’incendio, in modo da favorire gli effetti benefici prevalentemente biologici e di miglioramento colturale dell’intero ecosistema forestale e agevolare rapidamente il processo di ricostituzione e perpetuazione del bosco.
Tali accorgimenti sono utilissimi in tempi brevi per il recupero e ricostituzione della vegetazione andata distrutta, anche tenendo conto dell’aumento della frequenza e dell’intensità del fenomeno incendio, come effetto del cambiamento climatico in atto. Qualunque sia il modo di intervenire, lo si deve fare nel più breve tempo possibile, in un modo da mitigare più rapidamente i dannosi fenomeni erosivi tipici di aree privi di copertura forestale, che arrecano spesso guasti irreversibili al territorio.