Dopo lo sbarco dei Mille, Garibaldi emise un decreto il 2 giugno 1860 che prometteva la divisione delle terre comunali e latifondi ai contadini poveri in cambio del loro sostegno. Essi attendevano che queste riforme promesse si concretizzassero.
Ma intanto a Bronte la popolazione era schiacciata tra i latifondisti e la Ducalità, tra gli amici di Nelson e difensori delle prerogative legati agli interessi inglesi. All’epoca dei fatti la Ducea era nelle mani di Charlotte Nelson nipote di Horazio Nelson, conservatori e sostenitori della proprietà privata delle classi agiate. I rappresentanti inglesi temevano per gli interessi della Ducalità di Nelson e spingevano per la repressione.
Conosciuta anche come Ducato di Bronte, fu un feudo concesso all’ammiraglio britannico Horatio Nelson nel 1799 dal Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone (che regnava anche sulla Sicilia), come ricompensa per l’aiuto militare che Nelson diede alla monarchia borbonica durante le rivolte rivoluzionarie e l’instaurazione della Repubblica Napoletana.
Questa Ducalità comportava un titolo nobiliare: Nelson ricevette il titolo di Duca di Bronte (Duke of Bronté). Gli fu assegnato un vasto territorio (circa 25.000 ettari) nei pressi del comune di Bronte, alle pendici dell’Etna, in Sicilia con Diritti feudali. Nelson ebbe pieni diritti feudali sul territorio, il che significava che poteva riscuotere tributi, amministrare la giustizia e governare in modo semi-indipendente. Anche se non visitò mai il feudo, esercitava l’autorità attraverso amministratori locali.
Il cuore del ducato era il “Castello di Maniace”, costruito intorno ai resti di un’antica abbazia normanna del XII secolo, diventò la residenza simbolica del duca e dei suoi successori.
Dopo la morte di Nelson (1805), il titolo e le proprietà passarono ai suoi eredi secondo quanto previsto nel decreto di concessione. La famiglia Bridport, imparentata quindi con Nelson, che mantenne la proprietà fino al XX secolo.
L’iniziativa della rivolta fu spontanea, specie tra contadini ribelli noti come “comunisti”. Una prima fase di pre-rivolta e tensione crescente iniziò il 29 luglio 1860 con una “macabra serenata” di gruppi di giovani che cantavano sotto le case dei “cappelli” (latifonfisti).
Il 1° agosto la tensione esplode tra i contadini, esasperati dalla miseria e dallo sfruttamento e il 2 agosto comincia la rivolta. Case e palazzi furono dati alle fiamme e morirono 16 persone, tra cui proprietari terrieri, un prete e un notaio. Il 3 e 4 agosto: si intensificano le violenze con uccisioni di appartenenti alla fazione opposta, i “filoducali”. Morirono di 15 persone e 46 case furono incendiate.
L’arrivo di Nino Bixio, inviato da Garibaldi, significò l’inizio della repressione. Il 6 agosto Bixio arrivò a Bronte, e dichiarò lo stato d’assedio, definendo il paese “colpevole di lesa umanità”. Tra il 7 e il 9 agosto si svolse un processo sommario: vennero arrestate circa 150 persone, con 24 interrogatori, ed effettuate 3 perizie sulle armi e sopralluoghi.+
La drammatica esecuzione e le conseguenze si concretizzano il 10 agosto 1860: all’alba, cinque uomini tra cui l’avvocato Nicolò Lombardo, proclamato sindaco dopo la rivolta, vennero fucilati insieme a Nunzio Samperi Spirione, Nunzio Spitaleri Nunno , Nunzio Ciraldo Fraiunco (detto anche Frajuno, descritto come mentalmente instabile), Nunzio Longhitano Longi, furono uccisi e i loro corpi esposti in Piazza San Vito fino al giorno dopo, come monito per la popolazione, in un gesto di dissuasione pubblica.
Dopo la repressione guidata da Bixio, Bronte tornò temporaneamente sotto controllo. Tuttavia, l’intervento brutale lasciò una profonda frattura tra le aspirazioni popolari e il nuovo regime di Garibaldi.
Il massacro mostrò chiaramente come il movimento risorgimentale, pur proclamando libertà e giustizia, fosse spesso più vicino agli interessi delle élite che a quelli delle masse contadine. Questo contribuì a creare una frattura sociale che sfociò, negli anni successivi, in movimenti come il brigantaggio meridionale e il malcontento contadino postunitario.
La mancata distribuzione delle terre, sommata alla violenta repressione, portò a una crescente disillusione tra i contadini. Essi si erano illusi che l’Unità d’Italia avrebbe portato un miglioramento delle loro condizioni. Questo sentimento si estese anche ad altre zone della Sicilia.
Per decenni, il massacro di Bronte fu minimizzato o rimosso dalla narrazione ufficiale del Risorgimento, che preferiva presentare l’Unificazione come un processo glorioso e condiviso. L’episodio rappresenta uno scontro tra speranze di rivoluzione sociale e vincoli geopolitici e ideali borghesi del Risorgimento. È stato descritto come il: “tradimento delle promesse garibaldine”, e ha lasciato una memoria cupa nel rapporto tra Nord e Sud dell’Italia Unita.
Il caso è entrato nella cultura: da Verga a Sciascia e Carlo Levi, fino al film di Vancini del 1972, come episodio rappresentativo del Risorgimento ambivalente di contraddizioni nel processo unitario.