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Le figure più famose del Brigantaggio e la Repressione

di Esther Di Gristina
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Il brigantaggio ha dato origine a figure leggendarie, spesso mitizzate, che sono diventate simboli della resistenza popolare e della lotta contro l’oppressione. Ecco alcune delle più note:

Giuseppe Mazzarino, detto “Ciucciariello”: un ex-soldato borbonico che si unì ai briganti dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie. Fu uno dei capi più famosi del brigantaggio e riuscì a mantenere una resistenza lunga contro l’esercito italiano.

Carmine Crocco: considerato uno dei briganti più celebri, era anche lui un ex-soldato borbonico che divenne il capo di una delle bande più temute. La sua banda operò in particolare tra la Basilicata e la Campania, e Crocco divenne un simbolo della resistenza contro il nuovo governo.

Francesco Madonia: brigante di spicco, noto per le sue azioni violente e la sua determinazione a combattere l’occupazione italiana.

Queste figure sono state spesso romanticizzate nella tradizione popolare come “eroi” della lotta contro l’oppressione. In realtà, la loro leadership era caratterizzata da violenza e brutalità, ma per molte persone nel Sud erano visti come gli ultimi difensori di un mondo che stava cambiando troppo rapidamente.

Il brigantaggio fu percepito in modo estremamente negativo al Nord, dove il processo di unificazione e la creazione dello Stato italiano venivano visti come una realizzazione di modernità, progresso e unità nazionale. La propaganda ufficiale del governo italiano dipinse i briganti come dei criminali primitivi e ignoranti, nemici della nuova patria unificata.

Al Nord, dove la rivoluzione industriale era più avanzata e la mentalità più liberale, il brigantaggio fu visto come una manifestazione della “barbarie” del Sud, un residuo della vecchia società pre-unitaria, un fenomeno che doveva essere eliminato per completare l’opera dell’unità nazionale. L’immagine del brigante veniva associata al lato oscuro del Sud, arretrato e selvaggio, che si opponeva al progresso rappresentato dallo Stato unitario. Le bande brigantesche furono descritte come un ostacolo alla modernizzazione del paese. Questo alimentò pregiudizi e stereotipi contro il Meridione, creando una divisione che persistette anche negli anni successivi.

La repressione del brigantaggio fu durissima e brutale, e lasciò una traccia di odio verso lo Stato centrale. I contadini siciliani vennero schiacciati tra due fuochi: da un lato lo Stato piemontese, dall’altro i padroni locali e le cosche. Si diffuse una sfiducia profonda nelle istituzioni, che contribuì alla marginalizzazione del Sud nel nuovo Regno d’Italia.

Questo contribuì a consolidare una visione polarizzata tra Nord e Sud, che si rifletteva nelle difficoltà politiche e sociali che il Meridione avrebbe affrontato anche negli anni successivi.

Per il governo del Regno d’Italia, il brigantaggio rappresentava una minaccia alla stabilità e all’ordine pubblico. Questo portò a una durissima repressione militare, che culminò con l’uso di forze speciali contro i briganti e le loro bande. Alcuni storici considerano queste azioni come vere e proprie atrocità nei confronti della popolazione civile, poiché spesso furono colpiti anche innocenti. Uno dei momenti chiave della repressione fu l’invio del generale Enrico Cialdini, che aveva già guidato le operazioni anti-brigantaggio nel Sud continentale. Ma in Sicilia fu particolarmente attivo il Prefetto Giovanni Filippo Palizzi, e soprattutto il generale Raffaele Cadorna, che guidò operazioni militari contro i briganti e i disordini tra il 1862 e il 1864.

Il nome più tristemente famoso fu quello di Raimondo Lanza di Trabia, ufficiale e aristocratico che agì con brutale durezza contro le bande. La repressione avvenne con pattugliamenti continui, fucilazioni sommarie, arresti di massa e distruzione di interi villaggi sospettati di proteggere i briganti.

Un evento simbolico fu la durissima repressione della rivolta di Bronte (1860), dove intervenne direttamente Nino Bixio, braccio destro di Giuseppe Garibaldi, che ordinò l’esecuzione di civili in risposta alla rivolta di poveri contadini inermi.

Il brigantaggio venne debellato in pochi anni, anche se le cause sociali profonde rimasero irrisolte. Le classi dirigenti locali (latifondisti e mafiosi) vennero rafforzate, perché lo Stato spesso preferiva fare accordi con loro, piuttosto che affrontarli. Questo portò alla nascita e al consolidamento della mafia come potere parallelo, favorito dal vuoto di legalità e dalla complicità politica. La mafia prese il posto dello Stato, come potere armato e alternativo allo Stato; e la Sicilia entrò nell’Italia Unita da sottomessa e non da protagonista.

I numeri della repressione sono spesso sottovalutati o poco noti. In Sicilia, come nel resto del Mezzogiorno, i dati precisi non sono sempre chiari per via della scarsità di fonti ufficiali dettagliate, della censura dell’epoca e del caos del periodo postunitario. Le stime più credibili parlano di migliaia di morti tra il 1861 e il 1870, si ipotizza una cifra tra le 2.000 e le 5.000 persone uccise solo in Sicilia, tra briganti, presunti complici e civili coinvolti nei disordini. Eccidi come quello di Bronte costarono decine di vittime in un solo giorno.

I documenti dell’epoca riportano che centinaia di persone vennero arrestate solo in Sicilia. Molti furono deportati nei bagni penali delle isole di Lampedusa, Pianosa e Asinara, o nelle carceri borboniche riadattate, come quella di Favignana.

Non esiste un numero esatto, ma si parla di oltre 10.000 persone incarcerate per reati legati al brigantaggio, nell’intero Mezzogiorno, diverse migliaia solo in Sicilia. Nel 1863, il generale Raffaele Cadorna riferì al governo che erano stati catturati in Sicilia oltre 700 sospetti briganti in pochi mesi. Il governo usava leggi speciali, come la Legge Pica (1863), che permetteva fucilazioni sommarie e processi rapidi, spesso senza difesa.

CategoriaSicilia (stime)
Morti2.000 – 5.000
Carcerati3.000 – 5.000 (forse più)
DeportatiCentinaia, spesso in isole
Periodo1860 – 1865/70

Questi dati non tengono conto dei civili vittime di cause indirette, come fame, vendette, o emigrazione forzata. La repressione fu una vera guerra interna, anche se mai dichiarata come tale, una traccia indelebile che ha influito integralmente alla nascita della nuova Nazione Italiana.

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